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Osservatorio africano

 

I bravi maestri e i cattivi alunni

(pubblicato su “Galatea”, giugno 2006)

 

I bravi maestri sono i signori dello Sviluppo e del Progresso. Parlano il linguaggio suadente dei grandi numeri dell'economia, maneggiano i concetti di “tasso di crescita” e ragionano in termini generali, di prodotti interni lordi, di investimenti dei paesi donatori, di apertura dei mercati, di piani infrastrutturali e altre meraviglie. I cattivi alunni sono i capi africani, che devono guardarsi le spalle da mille complotti, devono armare e pagare in continuazione i loro eserciti e le loro milizie per mantenere il potere, cioè l'unica cosa che consente loro di sedere al tavolo insieme ai bravi maestri e campare delle loro briciole. Entrambi sanno benissimo che “non ci può essere discussione fra un coccodrillo e una lucertola”, come recita un saggio proverbio africano: se qualche lucertola se ne dimentica, e si mette a fare il coccodrillo, quasi sempre può aspettarsi una brutta fine.

Difficile dire che fine farà il presidente del Ciad Idriss Déby, rieletto da poco per la terza volta consecutiva in elezioni farsa, boicottate dall'opposizione e osteggiate dalla società civile, a partire dalla Chiesa cattolica. Quando leggerete queste righe, Déby potrebbe essere alle prese con l'ennesimo tentativo di colpo di stato, con una guerra civile o addirittura (Dio non voglia) con una guerra del suo Paese contro il Sudan. Dovesse andargli male, diventerebbe ufficialmente quello che ancora non è, cioè un cattivo allievo, e potrebbe perfino essere accusato di crimini contro l'umanità come il suo predecessore Hissène Habré, che era stato prima suo capo e poi suo nemico, e che rischia di dover interrompere il suo esilio dorato nel Marocco di re Mohamed VI, un vero alunno modello dei bravi maestri.

I bravi maestri hanno inventato (si fa per dire) un nuovo corso di lezioni, che si chiama “importare petrolio (vero) ed esportare democrazia (finta)”. I bravi maestri sono perlopiù statunitensi e cristiani, ma possono essere di qualsiasi nazionalità e religione. Il Ciad (vedi “Galatea”, aprile 2005) è uno dei paesi che più recentemente hanno ricevuto i loro insegnamenti, e questo solo perché i giacimenti petroliferi sono stati valutati correttamente a partire dagli anni Ottanta. Prima, producendo solo cotone e sottosviluppo, il Ciad interessava esclusivamente ai militari francesi, che lo avevano utilizzato per decenni come avamposto per via della sua posizione “strategica” (come nel Risiko, un paese con tanti confini, al centro della scacchiera fra i paesi del Nordafrica arabo e quelli subsahariani).

Metà deserto, metà regione agricola (il “sud utile” intorno al lago Ciad) , il paese era, come il vicino Sudan, un mix di musulmani (la maggioranza) e cristiani, di gente di cultura araba e nomade, e gente di cultura africana e sedentaria. Quest'ultima è stata favorita dall'amministrazione coloniale francese, che ha acuito i contrasti interni, originando il mito del conflitto permanente fra sud e nord. In realtà, il conflitto permanente è quello per il potere, fra varie fazioni che godevano dell'appoggio di Francia e Libia, all'inizio gli unici due contendenti nel Risiko africano in questa zona. Poi al tavolo da gioco si sono seduti gli Stati Uniti in coincidenza con l'inizio dello sfruttamento petrolifero. Ora i concorrenti si apprestano ad accogliere il nuovo giocatore, ultimo arrivato, ma certo non sprovveduto: la Cina (per ora ancora in posizione defilata).

Il lungo derby Francia-Libia ha prodotto, in 25 anni di guerra civile permanente, i due uomini forti citati in apertura, che hanno goduto entrambi dell'alleanza reversibile con Parigi o Tripoli: Hissène Habré, inseguito dal Tribunale penale internazionale per le denunce delle sue numerosissime vittime; e Idriss Déby, militare istruito dai francesi, che cacciò Habré nel 1990 partendo dalla sua regione di origine, quella che confina con il Darfur sudanese, e riuscì a portare un po' di stabilità e di legalità istituzionale nel Ciad travagliato.

Era il momento che entrassero in gioco i bravi maestri, che in questo caso sono i tecnocrati della Banca Mondiale. Era il momento di importare petrolio vero ed esportare finta democrazia. Unico problema, la costruzione di un oleodotto lungo più di mille chilometri, un investimento enorme che le multinazionali del petrolio, per quanto consorziate fra loro in una originale joint venture malese-americana (Petronas, Chevron e Exxon), non potevano affrontare.

Era necessario l'intervento della Banca Mondiale. Il quadro offerto dagli altri paesi africani produttori di petrolio era chiarissimo e deprimente, dalla Nigeria all'Angola: il petrolio aveva arricchito solo le multinazionali da un lato e i presidenti africani dall'altro. Le popolazioni non avevano avuto il minimo beneficio dal flusso straordinario di denaro creato dall'oro nero, che aveva soltanto reso più instabili quei paesi, perché quando la posta in palio è così alta e quando il potere si conquista con la forza delle armi, sono in tanti a volersi inserire nel business; ci sono cioè altre compagnie da un lato, e altri signori della guerra dall'altro.

Consapevoli di queste situazioni, i vescovi dell'Africa occidentale firmarono un appello che condannava in modo nettissimo pratiche che la stessa Banca Mondiale, bontà sua, aveva definito “opache” e chiedeva di non ripetere gli stessi schemi per il Ciad e per altri paesi che dovevano ancora entrare nel Grande Gioco dell'energia. Le organizzazioni ciadiane, da quelle ambientaliste a quelle indigene, volevano un approccio graduale, un percorso concordato che consentisse ad un paese completamente impreparato di affrontare meglio la questione. Tempo sprecato. I bravi maestri non amano i tempi lunghi dell'ascolto e del dialogo. Sono abituati ad agire, sono efficienti , sanno che il tempo è denaro e che non bisogna disturbare troppo i manovratori.

Così, la Banca Mondiale ha vincolato il governo del Ciad a impiegare una percentuale importante delle rendite petrolifere a progetti di sviluppo sociale, all'istruzione, alla sanità, alle infrastrutture pubbliche, costituendo anche un organismo indipendente di controllo e un fondo di garanzia presso una banca londinese. Si sono guardati bene, però, dall'esigere trasparenza nell'accordo di base, nella spartizione della torta, che alcuni giornalisti ciadiani indipendenti, in un paese quasi privo di mass media, hanno definito in questi termini: il 95 per cento dei profitti va alle compagnie; il 5 per cento (che sono comunque un bel po' di soldi) al governo, cioè al Ciad. Dettagli insignificanti, per la Banca Mondiale.

L'oleodotto è stato realizzato a tempo di record, la produzione ha superato rapidamente i 200mila barili al giorno, come previsto, e la Banca Mondiale ha presentato l'accordo a tre come un nuovo modello per lo sfruttamento delle risorse, indicato addirittura come possibile soluzione per l'Iraq. Era l'ottobre del 2003, e tutto procedeva per il meglio, alla faccia dei vescovi, degli ambientalisti, dei giornalisti ipercritici. Il presidente Déby era già stato abbondantemente legittimato come “democratico”, gli osservatori europei avevano minimizzato i brogli clamorosi che gli avevano garantito due mandati consecutivi. Nel momento in cui Déby ha voluto emendare la costituzione per poter ottenere una terza rielezione espressamente vietata dalla legge, nessuno ha battuto ciglio. Importare petrolio (vero), esportare democrazia (finta). I bravi maestri hanno sempre ragione. All'occorrenza, sanno anche essere severi. Quando la lucertola Déby ha ricominciato a spendere in armamenti i soldi della misera quota nazionale lasciata dai coccodrilli del consorzio petrolifero (che fra l'altro unisce in nome del business gli islamici della Petronas malese con i cristiani di Chevron-Texaco ed Exxon-Mobil), visto che era minacciato all'interno dai soliti golpisti e all'esterno dal Sudan, la Banca Mondiale ha deciso di congelare il fondo di garanzia depositato a Londra. E' successo pochi mesi fa, ma si sta già raggiungendo un accordo. Nel frattempo, il presidente ciadiano ha represso una rivolta militare con l'aiuto determinante dell'aviazione francese (Parigi continua a tenere le sue basi militari nel paese), si è ripresentato alle presidenziali contro tutto e contro tutti, e naturalmente è stato confermato per altri cinque anni. Purtroppo per lui, però, da tempo sono stati individuati interessanti bacini petroliferi nel vicino e disgraziato Darfur, e la lotta per il controllo di tutto quel potenziale ben di Dio, con il prezzo del petrolio che sembra andare dritto verso i cento dollari al barile, è già iniziata da un pezzo e lo coinvolge direttamente, perché, soprattutto per le lucertole africane, vale il detto “tutti sono utili, ma nessuno è indispensabile”. Chissà chi ha armato i nuovi ribelli, già divisi in due fazioni: la Libia , la Cina , o semplicemente altre multinazionali fin qui escluse dal gioco? Impossibile stare dietro al Risiko mondiale, tutto complotti e servizi segreti. E' semplice vedere invece la stessa gente africana povera esattamente come prima, umiliata continuamente da chi dice di agire nel suo interesse, coinvolta ufficialmente in elezioni alle quali non ha partecipato, potenziale vittima della guerra civile prossima ventura, che magari farà scaturire i soliti commenti sugli africani che si ammazzano fra di loro, e sull'antico vizio del tribalismo, causa prima di tutte le tragedie continentali. Non serve dire: noi l'avevamo detto. L'ultima parola spetta sempre ai bravi maestri. Gli africani, si sa, sono alunni particolarmente svogliati: non imparano mai la lezione del Progresso e dello Sviluppo.

 

Cesare Sangalli