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Osservatorio africano

 

Le due Somalie

(pubblicato su “Galatea”, luglio-agosto 2006)

 

L'operazione si chiamava “Restore Hope”, “ristabilire la speranza”, ed è stata forse la più tragica pagliacciata degli ultimi vent'anni. Come sottotitolo dell'operazione, poteva starci: “quando la politica estera si fa a Hollywood”. Presentiamola come un film di azione. L'anno di produzione è il 1992. La “location”, come si dice nel gergo cinematografico, è la Somalia. Il regista, George Bush senior, reduce dal trionfo mediatico dell'anno prima, che si intitolava “Come vincere la guerra del Golfo e uscire dalla sindrome del Vietnam”. Attori principali: il corpo dei marines. Comparse: i giornalisti “embedded” (ma all'epoca non si chiamavano ancora così). Scena madre: lo sbarco sulle spiagge di Mogadiscio, in stile Rambo, dove ad attenderli non c'erano i nemici, ma le troupes delle televisioni, CNN in testa.

George Bush voleva chiudere il suo mandato presidenziale con una “botta” di immagine: gli Stati Uniti, caduto il comunismo (e in attesa dell'integralismo islamico, ancora lontano dal diventare il nuovo nemico mondiale), erano ormai i soli gendarmi del mondo, i veri paladini dell'umanità dall'Alaska alla Polinesia.

La speranza da ristabilire era quella dei somali, rimasti praticamente senza stato dopo la caduta di Siad Barre, abbandonati alla miseria e ai capricci dei signori della guerra che non erano riusciti a trovare un accordo sulla spartizione del potere. Per un paio d'anni, l'inferno somalo avrà l'onore delle aperture di giornali e notiziari tv, per poi tornare nel nulla, esattamente come prima. Un paese esiste solo quando sta in tv, e a dettare la scaletta sono invariabilmente gli americani. Il meccanismo mediatico è implacabile: subito dopo giornali e tv, arriva il cinema, che ti racconta le imprese eroiche dei soldati americani, siano vittorie o sconfitte (in questo caso vale la seconda ipotesi, il film è “Black hawk down” di Ridley Scott), e a quel punto può calare il sipario. La realtà ovviamente segue tutt'altro percorso, nel bene e nel male, e il concetto vale anche per la Somalia. Anzi per le Somalie, che erano due e sono tornate ad essere due, entrambe ignorate completamente, tranne un piccolo risveglio di interesse nelle ultime settimane.

A nord, sul Mar Rosso, c'era la Somalia britannica, chiamata anche Somaliland..

A sud, sull'oceano indiano, c'era la Somalia italiana.. Due Somalie per due nemici, Italia e Regno Unito, proprio come nel film con Alberto Sordi e David Niven.

I due nemici, nello spirito costruttivo del dopoguerra, si accordarono fra loro e con l'ONU, che decise di lasciare all'Italia l'amministrazione del paese fino al 1960. Una scelta sciagurata, viste le conseguenze che seguiranno. Intanto, non era affatto scontato che i due paesi, l'ex colonia britannica e l'ex colonia italiana, dovessero unire i loro destini. In secondo luogo, la classe dirigente formata dagli italiani risulterà una delle più scandalose del continente, a partire dai militari.

Uno di questi è Mohamed Siad Barre. Figlio di un capo clan del nord della Somalia italiana, Siad Barre va a formarsi a Roma come molti altri suoi colleghi. Al momento dell'indipendenza è già ufficiale di rango, e successivamente diventa capo delle forze armate. Il passaggio successivo non è difficile da immaginare, visto che fa parte del cursus honorum di gran parte dei militari africani: il colpo di stato, che arriva puntuale alla fine del 1969, quasi in contemporanea con quello di Gheddafi in Libia. L'accostamento non è casuale: entrambi islamici con aspirazioni marxiste (si fa per dire), Gheddafi e Siad Barre manterranno sempre ottime relazioni fra loro, e cambieranno le loro alleanze internazionali con una disinvoltura incredibile.

Siad Barre parte marxista e dittatore, statalizza l'economia, strizza l'occhio all'Unione Sovietica che comincia a rifornirlo di armi, fa la faccia dura con gli italiani residenti, ma continua a mantenere nella sostanza ottimi rapporti con la Farnesina , proprio come Gheddafi. La gente del nord della Somalia ex britannica comincia a creargli dei problemi: lui risponde sempre e solo con il pugno di ferro, militarizzando la regione.

Nel frattempo, anche la vicina Etiopia vive il suo colpo di stato o rivoluzione che dir si voglia, che mette fine al secolare regno dei negus per instaurare un duro regime comunista guidato da Menghistu, ribattezzato “il Robespierre del Corno d'Africa”. I due dittatori, Barre e Menghistu, non avrebbero alcun motivo di contesa, visto che stanno entrambi dalla parte dell'URSS. Ma Siad Barre insegue mire espansioniste sull'Ogaden, regione dell'Etiopia a popolazione mista. Intanto ha portato la Somalia nella Lega araba, avvicinandosi molto ai sauditi, e preparandosi al cambio dell'alleanze, al passaggio nel campo americano, quello dei buoni. Quando si sente abbastanza forte, invade l'Ogaden che rivendica come suo, e mal gliene incoglie, perché sta sfidando il più grande esercito del Continente nero, quello etiope. La guerra si risolve in una sconfitta, ma ormai il gioco delle alleanze è definitivo, Siad Barre è uno dei “nostri”.

Arrivano gli anni Ottanta. L'Italia di Bettino Craxi rinnova i fasti italiani in Africa orientale finanziando a pioggia la cooperazione nell'area. La siccità e le carestie che colpiscono l'Etiopia danno una mano, dal punto di vista mediatico (ricordate il “Live Aid “ di Bob Geldof dell'estate '85 ? ), e i socialisti si spartiscono con i democristiani (ai primi spetta la Somalia , ai secondi l'Etiopia) l'enorme torta del Fondo aiuti italiani (FAI). Ce n'è per tutti: dalla cricca dei regimi dittatoriali sempre più corrotti, fino agli insegnanti dell'Università italiana di Mogadiscio, ormai ridotta ad un diplomificio per l'incompetente burocrazia di regime.

Si spende e si spande, continuano ad arrivare armamenti, continua la povertà estrema della gente: questo è ciò che alla Farnesina chiamano “politica di sviluppo”. Nel frattempo, il Somaliland, la regione più abbandonata dal regime, ha incominciato a ribellarsi, e nel 1988 il movimento guerrigliero dell' ex colonia britannica riesce ad impossessarsi di Hargeisa, la città principale. La risposta di Siad Barre non si fa attendere: l'aviazione somala, integrata da piloti mercenari del Sudafrica, rade al suolo la città, facendo più di 30mila morti. Una carneficina che passa praticamente inosservata. Il dittatore somalo garantisce la famosa “stabilità”, l'integrità territoriale del paese non si discute. In realtà, il marcio regime di Mogadiscio sta implodendo, ma fino alla sua caduta, nel 1991, nessuno si accorge di niente. A dire il vero, anche la fine di Siad Barre non desta molta attenzione, perché nel '91 c'erano rivolgimenti ben più importanti, a partire dall'inizio delle ostilità in Jugoslavia e dalla dissoluzione dell'URSS.

Figuriamoci se qualcuno può accorgersi dell'indipendenza del Somaliland, proclamata unilateralmente dal Consiglio degli anziani il 18 maggio, mentre l'altra Somalia sprofonda nel caos. La cecità della diplomazia internazionale dura fino ad oggi, a 15 anni di distanza: le due Somalie sono cancellate dal mondo, una perché non ha uno stato, l'altra perché nessuno vuole riconoscere lo stato che c'è, e che funziona, a dispetto di tutto e di tutti.

Nel Somaliland indipendente ci sono già state tre regolari elezioni e un referendum sulla sovranità (con tanto di osservatori internazionali), non riconosciute, anzi, non conosciute proprio. I somali del nord hanno già mandato all'opposizione un presidente, e votato una diversa maggioranza in parlamento. Se poi qualcosa si blocca, fra il presidente e l'assemblea, interviene il Consiglio degli anziani, contributo africano alla democrazia, che quasi sempre finisce per decidere all'unanimità. Da 15 anni il Somaliland vive in pace e in democrazia, da solo, nella povertà estrema, ma con grande dignità. Evidentemente, per l'ONU, una democrazia può essere solo esportata dagli Stati Uniti, non può nascere spontaneamente in mezzo a poveri pastori africani, con l'aggravante di essere musulmani.

Nell'altra Somalia, dove invece si è deciso di intervenire quando i buoi erano già ampiamente fuori dalla stalla, i risultati li abbiamo visti tutti. Li aveva visti, fin troppo bene, anche la povera Ilaria Alpi (con l'operatore Milan Hrovatin), ufficialmente uccisa da un estremista somalo, il classico killer solitario, in realtà eliminata quando cominciava a scoperchiare il verminaio del traffico di armi protetto dai canali ufficiali della diplomazia, gli stessi che hanno bazzicato per vent'anni con il sanguinario Siad Barre. In fin dei conti, un territorio senza autorità, in appalto ai trafficanti della peggior specie, stava bene a tanti, nessuno si è preoccupato di dire “non possiamo abbandonare la Somalia alla guerra civile”, come si ripete in continuazione per l'Iraq (chissà se le riserve petrolifere più importanti del mondo, dopo quelle saudite, contano qualcosa). Ora Mogadiscio è in mano agli islamici, che hanno almeno il merito di aver riportato un po' di pace e ordine in una terra martoriata dai signori della guerra, da anni finanziati da Washington in nome della lotta ad Al Qaeda.

Il Somaliland, che avrebbe bisogno dei veri aiuti umanitari e della vera cooperazione, e non ha aspettato l'arrivo di nessun “esportatore di democrazia” armato fino ai denti, sembra dover pagare l'affronto: non rientrava nella scaletta della “comunità internazionale”. Questo è un altro film che non ci faranno mai vedere, uno dei tanti riservati ad un pubblico adulto, e per Hollywood e la Casa Bianca , si sa, noi siamo solo dei bambini da proteggere.

 

Cesare Sangalli