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Democrazia turistica alla tunisina

(pubblicato su “Galatea”, 2006)

 

“Noi non dimenticheremo che siamo arabi e siamo radicati nella civiltà islamica; ma vogliamo partecipare al cammino del progresso e avere una posizione nella nostra epoca”. Aveva le idee chiare, Habib Bourguiba. La Tunisia che ha appena celebrato i cinquanta anni della repubblica, gli sarà debitrice per sempre. Nessun altro paese con le stesse caratteristiche ha saputo avanzare così tanto nello stesso periodo. Niente e nessuno ha fermato il sogno di Bourguiba: né la Francia padrona, né l'Islam conservatore, né il panarabismo militarizzato. Bourguiba poteva solo essere fermato da se stesso, nell'inevitabile parabola discendente che segna la fine di ogni dittatura. Ma forse sarebbe più giusto dire la fine di ogni dittatore, perché il regime tunisino è vivo e sembra godere di ottima salute. E' proprio in paesi come la Tunisia che la sfida alla democrazia appare più subdola: a volte la dittatura sembra funzionare bene, anzi meglio. Molto meglio. Soprattutto nel mondo arabo (qualcuno allargherebbe il quadro a tutto il mondo islamico, o addirittura a tutto l'Oriente). Altro che fine della Storia e trionfo inevitabile del libero mercato e della democrazia, come Francis Fukuyama, politologo americano, sostenne dopo il crollo del comunismo. Il libero mercato della democrazia non sa che farsene, e questo inizio di millennio purtroppo lo sta dimostrando alla grande.

Ma torniamo alla Tunisia, al suo padre fondatore. Habib Ben Ali Bourguiba (nel nome completo anticipava il suo delfino e successore, l'attuale presidentissimo Ben Ali) era un leader straordinario, un uomo politico eccezionale. La moderna trasposizione del “Principe” di Machiavelli. Che deve sempre avere in testa l'interesse del suo popolo, dello stato che guida, e deve essere “metà angelo e metà fiera”, secondo la nota teoria per cui il fine giustifica i mezzi. Nel caso di Bourguiba si può dire ciò che Fidel Castro dice di se stesso: “ la Storia mi assolverà”. La Storia ha più che assolto Bourguiba, ma nella celebrazione che la Tunisia gli tributò, alla morte sopravvenuta il 6 aprile del 2000, c'era anche una bella dose di rimozione ipocrita, la voluta dimenticanza di un finale da tragedia di Shakespeare, un “Re Lear” fra ulivi e palme da datteri, nella terra che vide l'incredibile splendore di Cartagine e del suo impero mediterraneo.

La vita di Bourguiba, quasi simbolicamente, attraversa tutto il Novecento. Nato ufficialmente nel 1903 a Monastir, sotto il segno del Leone, Bourguiba era l'ultimo degli otto figli di una guardia del Bey. Il Bey era il sovrano tradizionale tunisino, poco più di un burattino nelle mani dei colonizzatori, anzi “protettori” francesi. Il figlio della guardia del re sarà quello che lo cancellerà, proclamando la repubblica.

Origini modeste, quindi, ma non troppo: Bourguiba va alle scuole dei francesi in Tunisia, fino al diploma superiore. Poi parte per Parigi, università della Sorbona, studi in diritto e scienze politiche. Torna in Tunisia per fare l'avvocato, ma in realtà è già un politico a tutto tondo.

In breve tempo diventa uno dei principali esponenti del partito indipendentista, il Destour. Siamo a cavallo fra gli anni Venti e gli anni Trenta, e il mondo arabo, dopo un lunghissimo periodo di sonnolenza, è in fermento. Il crollo dell'Impero Ottomano in seguito alla sconfitta nella Prima Guerra Mondiale ha fatto mancare all'Islam l'unico modello politico di riferimento, durato oltre quattro secoli. Quattrocento anni di solitudine, e poi l'umiliazione colonialista di Francia e Inghilterra. Il fondamentalismo islamico nasce in questo periodo, non certo con Bin Laden: i neonati Fratelli musulmani in Egitto sostengono che il riscatto degli arabi avverrà solo con il ritorno all'integrità dell'Islam e con il ripudio totale del demonio occidentale.

Bourguiba invece è un modernista convinto. La lucidità di giudizio e la capacità di leggere i tempi e anticipare il futuro sono due qualità che il leader tunisino possiede in abbondanza. “Ci sono tre modi di realizzare l'indipendenza”- dichiara nel 1937, prevedendo lo scoppio imminente della guerra - “Con una rivoluzione popolare; con una sconfitta militare della Francia contro un altro paese; e infine, con una soluzione pacifica, un percorso graduale sotto l'egida della Francia”. Solo la terza strada è percorribile, perché una rivoluzione popolare non ha alcuna chance di successo, e la sconfitta della Francia sostituirebbe il dominio di un paese con un altro (in questo caso, la Germania di Hitler).

Nonostante i francesi lo abbiano già mandato al confino (e presto lo sbatteranno in galera), Bourguiba non coltiva sentimenti di risentimento nei confronti del paese che gli ha dato un'istruzione. Per lui, ospite delle prigioni francesi, è già chiaro con tre anni di anticipo che la Germania perderà la guerra, schiacciata dall'alleanza fra sovietici e angloamericani “che controllano i mari e hanno possibilità industriali infinite”. Ordina a suoi militanti di entrare in contatto con i gollisti della Francia libera e offrire loro “sostegno incondizionato”: occorre avere buoni crediti quando verrà la pace. Ma la sua strategia lungimirante si scontra nel dopoguerra con l'ostinazione colonialista francese.

E' significativo che sia proprio Robert Schuman, uno dei padri fondatori dell'Europa unita, a gelare le aspirazioni indipendentiste dei tunisini, nel 1951. Il doppio standard in politica estera della Francia e delle altre potenze occidentali è arrivato intatto ai nostri giorni: un criterio per gli europei, un altro per gli africani.

Per Borguiba e i suoi non resta che la rivolta armata. Niente di paragonabile alla sanguinosa lotta dell'Algeria, anche perché la Francia ha un rapporto diverso con la Tunisia (e il Marocco), che non considera parti integranti del territorio francese. Però ci vogliono comunque morti e violenze per arrivare prima all'autonomia, poi all'indipendenza del 1956, con Bourguiba capo del governo sotto l'egida del Bey. Un anno dopo, avendo accentrato tutto il potere nelle sue mani e in quelle del partito, il leader tunisino depone il re e proclama la repubblica. E' una delle tre scelte politiche fondamentali, tutte all'insegna di un forte spirito egalitario: oltre alla repubblica, il Codice dello statuto personale e la legge sull'insegnamento.

Con il codice, Bourguiba fa fare alle donne tunisine un salto in avanti che non ha paragoni nel mondo islamico e non solo. Basta pensare che il codice, oltre a vietare la poligamia, autorizza il divorzio e l'aborto. All'Italia occorreranno vent'anni per fare altrettanto. Con la legge sull'insegnamento, che rende l'istruzione obbligatoria e gratuita, in arabo e in francese, Bourguiba cancellerà l'analfabetismo in Tuinisia. Anche perché, in totale controtendenza rispetto agli altri paesi arabi, dedica molte più risorse alla scuola che all'esercito. Ma sarà proprio il settore economico a determinare la sua parabola discendente.

Il leader tunisino si lascia tentare dalle sirene dell'economia centralizzata e collettivista, con il solo risultato di inimicarsi tutti gli agricoltori, soffocare la crescita, burocratizzare il paese. Dopo un decennio di esperienze in stile sovietico, si comincia a fare dietro front. Ma le riforme sono troppo timide, mentre il malcontento cresce fino ad esplodere nella rivolta popolare del 1978. E' il “giovedì nero” del potere: Bourguiba, nel frattempo diventato presidente a vita, fa intervenire l'esercito, che fa un massacro: si parla di circa 200 morti. La feroce repressione blocca la ribellione, ma cinque anni dopo lo scenario si ripete: ancora una “rivolta del pane”, ancora morti a decine. Bisogna cambiare qualcosa, ma per cambiare qualcosa in Tunisia occorre destituire il leader, che nel frattempo è invecchiato, si è isolato, e soffre di crisi depressive. La sua fine politica si avvicina rapidamente.

Il segnale lo dà la seconda moglie, Wassila, che ha un ruolo influente nel mondo politico tunisino: nel 1986 mette fine a 18 anni di matrimonio con un semplice comunicato, saltando ogni procedura legale.

Un anno dopo, il ministro dell'Interno, Ben Ali, approfittando dello stato di salute di Bourguiba, si inventa il “colpo di stato medico”: la notte del 6 novembre 1987 riunisce l'équipe che cura il presidente e la costringe a firmare un verbale che dichiara la sua incapacità mentale. Con tutta probabilità, sono i servizi segreti italiani a preparare il terreno diplomatico per la fine del dittatore, con la regia di Craxi (che negherà sempre, ma al momento della latitanza si ritroverà un piccolo impero ad Hammamet: evidentemente il nuovo presidente Ben Ali non aveva dimenticato gli amici). Bourguiba fa la fine dei vecchi padri di famiglia che, per non saper trasmettere il patrimonio accumulato, vengono interdetti dai figli. Poi, alla morte, tutti ovviamente piangono e celebrano, come farà il governo tunisino ai funerali del 2000.

A vent'anni dal golpe, il nuovo dittatore Ben Ali dorme sonni tranquilli: l'economia, liberalizzata, cresce ogni anno. La produzione agricola è straordinaria, la Tunisia è uno dei primi produttori mondiali di olio di oliva, ma esporta un po' di tutto. Il sistema poliziesco ha stroncato sul nascere ogni fantasma del terrorismo islamico, i turisti che sempre più numerosi visitano la Tunisia non hanno niente da temere. La laicità dello stato è a prova di bomba, le donne tunisine si godono le loro conquiste. In fin dei conti, a che servono le elezioni, i partiti, il giornalismo indipendente, il diritto di critica? La Tunisia , così com'è, piace proprio a tutti. Secondo la definizione di un sito internet sul paese, una perfetta “democrazia turistica”.

Cesare Sangalli