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Osservatorio africano

 

La luna calante e il giovane re

(pubblicato su “Galatea” 2006)

 

“…Quest'uomo potente governava un popolo di guerrieri che, eroicamente e continuamente, cercava di assassinare il suo capo per strappare la sua libertà”.

Nella sua prosa epica, Ahmadou Kourouma scrive la tragica favola del Marocco e dei suoi re (“Aspettando il voto delle bestie selvagge”, 1998), puntando l'indice su Hassan II, “l'uomo dal totem sciacallo”. Non è tenero, Kourouma, con il defunto sovrano marocchino (che era vivo all'epoca del libro): trattato sempre con i guanti dalla stampa occidentale per la sua fedeltà a Francia e Stati Uniti, Hassan II viene definito “altrettanto retrogrado, barbaro, crudele, bugiardo e criminale che tutti gli altri padri della patria africani della Guerra Fredda”. Mentre il popolo marocchino, con riferimento soprattutto alla forte componente berbera, viene descritto come indomito, letteralmente incontrollabile, in continua sommossa contro tutti i re che cercavano di ridurre sotto un solo potere le tribù libertarie delle montagne e del deserto. Negli ultimi cinque secoli, le ribellioni erano contro la dinastia alawita di Hassan II, che discenderebbe direttamente dal genero di Maometto, Alì, e che governava (o fingeva di governare) il paese fin dal lontano 1660.

Un popolo e un re, quindi. Nella versione di Kourouma, un popolo contro un re. Per piegare la sua resistenza, e garantirsi un po' di potere, gli antenati di Hassan II accettarono di perdere l'indipendenza a favore di francesi e spagnoli. Un protettorato umiliante, che vide le truppe francesi e quelle del generalissimo Francisco Franco determinate ad annientare ferocemente ogni forma di resistenza, soprattutto quella berbera delle montagne del Rif, dove il leggendario Abd El Krim era arrivato addirittura a proclamare una repubblica.

Il vero protagonista della lotta per l'indipendenza del Marocco, iniziata alla fine della Seconda guerra mondiale, non fu il re, ma l'umile figlio di una devota famiglia di piccoli commercianti, Mehdi Ben Barka. A parte la classica scuola coranica, terminata all'età di nove anni, il piccolo Ben Barka non era destinato a continuare gli studi, privilegio riservato al fratello maggiore. Ma un insegnante francese intuì le doti eccezionali del ragazzo, che grazie alle borse di studio arrivò a laurearsi in matematica, unico cittadino marocchino dell'epoca. La sua vera passione , però, era la politica, e già da adolescente si era unito al movimento indipendentista, tanto che nel 1944, a soli 24 anni, Ben Barka fu uno dei fondatori del partito “Istiqlal” (“Indipendenza”). Ma l'indipendenza, nella sua visione, era solo il punto di partenza per arrivare al vero obiettivo, la modernizzazione del Marocco. Il sistema di potere, strettamente legato alla fede islamica, era rimasto sostanzialmente immutato nel corso dei secoli: un potere di casta, di stampo feudale, delle famiglie legate all'aristocrazia, chiamato makhzen . Un potere che manteneva una società arretrata, con enormi differenze sociali, e con le donne completamente escluse e sottomesse. Cambiare radicalmente questa situazione era il vero scopo di Ben Barka, in linea con i leader maghrebini dell'indipendenza, dal tunisino Bourguiba (vedi lo scorso numero di “Galatea”) all'algerino Ben Bella. Era proprio l'Algeria il cuore della lotta contro la Francia , e Parigi non voleva tenere aperti troppi fronti. Bisognava salvare il salvabile, impedire che le diverse resistenze nazionali si saldassero in unico movimento rivoluzionario.

Fu così che il re Mohamed V fu richiamato insieme al figlio Hassan dall'esilio in Madagascar. I francesi avevano cacciato Mohamed V perché il sovrano aveva cominciato a rifiutarsi di fare il burattino, e l'avevano perciò rimpiazzato con un familiare anziano, debole e manovrabile. L'esilio, durato un paio d'anni, era servito al sovrano marocchino per rifarsi una verginità , visto che la dinastia si era gravemente compromessa nel mezzo secolo del protettorato francese. I francesi concessero l'indipendenza (1956) a patto che il partito Istiqlal troncasse ogni collegamento con il Fronte di liberazione algerino, e che il re fosse garante di una politica ultramoderata e favorevole a Parigi. Non a caso vennero subito liquidati i leader della resistenza armata e della fazione comunista.

Ben Barka non fu preso di mira, ma la svolta conservatrice del partito lo portò a guidare la scissione dell'ala progressista e la creazione dell' Unione nazionale delle forze popolari (UNFP), fortemente orientato a sinistra. Il nuovo partito si mise a denunciare la corruzione che regnava ai vertici dello stato, a reclamare, oltre ad una nuova costituzione, libere elezioni, la riforma agraria, l'alfabetizzazione, l'emancipazione delle donne. Per tutta risposta, i leader del partito vennero arrestati e Ben Barka andò in esilio a Parigi.

Iniziavano gli anni Sessanta, e iniziava, con la morte di Mohamed V, il lungo regno di Hassan II. Per la storia marocchina, sono “gli anni di piombo”, ma non c'entrano né l'estremismo di sinistra, né il fondamentalismo islamico. Il piombo è tutto di regime, perché ogni tentativo di mettere in discussione il dominio del re e della sua cricca è represso con la violenza. Omicidi mirati, galere piene, torture senza ritegno. Il Marocco di Hassan II sarà sempre in pole position nei rapporti annuali di Amnesty International, curiosamente nata nello stesso anno dell'ascesa al trono del sovrano (1961).

Il re del Marocco si era fatto confezionare una costituzione su misura da alcuni giuristi francesi. Elezioni farsa mantengono la farsa della democrazia. Ma “l'uomo dal totem sciacallo” non si fida, ha paura di tutto e di tutti, e teme l'eventuale ritorno del popolarissimo Ben Barka. Il 29 ottobre 1965, Ben Barka viene prelevato da uomini della polizia francese e consegnato ai servizi segreti marocchini: non se ne avrà più notizia. La stessa sorte toccherà a chiunque possa costituire una minaccia per il sovrano marocchino, e la repressione si farà ancora più dura dopo due tentativi di colpo di stato, agli inizi degli anni Settanta.

La mossa che consente ad Hassan II di legittimarsi in chiave nazionalista agli occhi di una popolazione ostile è l'invasione del Sahara occidentale, lasciato libero dagli spagnoli dopo la morte di Franco (1975). Anticipata da una gigantesca carnevalata a sfondo mistico, la Marcia Verde , con cui il re del Marocco come guida spirituale della nazione conduceva i coloni verso le terre del sud, l'invasione fu una vera e propria aggressione alla neonata Repubblica dei Saharawi, proclamata sotto le bombe dell'aviazione marocchina, e subito trasferita nei campi profughi dell'Algeria (contro cui re Hassan aveva già combattuto una breve “guerra delle sabbie” nel 1963). I poveri saharawi, come abbiamo già avuto modo di scrivere in questa rubrica, aspettano da allora di tornare in possesso della loro terra. Ma la fedeltà filoccidentale del vecchio autocrate continua a pagare ancora adesso, e consente al Marocco di farsi beffe dell'ONU dal 1991, anno del cessate il fuoco sul fronte del deserto, e rimandare all'infinito il referendum sull'autodeterminazione.

Gli anni Novanta vedono grandi trasformazioni nella società marocchina. Il fenomeno più vistoso riguarda l'urbanizzazione (da qualche anno la popolazione urbana ha superato quella rurale); ma si assiste anche ad una convulsa ma costante crescita economica, con la formazione di una classe media che prima non esisteva.

Nel nuovo sottoproletariato urbano che si ammassa attorno alle grandi città, trova terreno fertile anche il fondamentalismo islamico, che indirizza la frustrazione giovanile verso il terrorismo. E' questo il paese che Hassan II, alla sua morte nel 1999, lascia in mano al figlio Mohamed VI. Un paese che inizia una grande e difficile fase di transizione dalla dittatura alla democrazia, e dal modello arcaico alla modernità.

Il giovane re (classe 1963) alimenta grandi speranze in tutti i settori progressisti del paese. Che sia infinitamente più illuminato del padre è indubbio: aumenta la libertà di stampa, libera un gran numero di prigionieri politici, riforma completamente il codice di famiglia in senso favorevole alle donne, permette elezioni che per la prima volta si possono definire libere. Ma tutto ciò non basta. La democrazia marocchina è tuttora sotto tutela; il re non riduce le sue prerogative, non cambia nella sostanza la struttura del potere, così come non attenua la spaventosa ingiustizia sociale, che tende a scavare un fossato fra le città e le campagne, fra la costa e l'interno montagnoso.

Il malcontento della gente resta elevato, e non a caso il partito islamico, che ha tagliato ogni legame con gli estremisti (sul modello della Turchia), era dato come il grande favorito alle elezioni di settembre. In realtà, il voto ha confermato i vecchi partiti che furono di Ben Barka, l'Istiqlal e l'UNFP. Il partito islamico ha avuto un discreto risultato, ma molto inferiore alle aspettative. Dovrebbe comunque essere coinvolto nel governo, perché nessuno ha la maggioranza assoluta. Resta però il fatto che alle elezioni ha partecipato meno del 40 per cento degli elettori.

La lezione politica che viene dal Marocco sembra piuttosto chiara: l'estremismo islamico non è nelle corde della gente, come molti commentatori europei si ostinano a pensare. Da cui si evince che il terrorismo si combatte con più democrazia, non con meno. Il problema reale è nell'establishment, non nella società.

Proprio come in Turchia, dove il vero freno al progresso è costituito dai militari, in Marocco l'avanzamento della democrazia finisce sempre per sbattere nell'ingombrante ruolo del monarca. La luna calante del fondamentalismo islamico lascia più scoperto il giovane sovrano. Fino a quando ci sarà un nuovo Ben Barka a mostrare al popolo che il re è nudo.

 

Cesare Sangalli