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In nome di Allah clemente e misericordioso
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Il bandito e il campione
La seconda generazione
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The African Job
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Democrazia turistica alla tunisina
Alle radici dell'odio

Le ombre dell'arcobaleno
Una fame antica, anzi moderna
I figli del "colonialismo straccione"
Ombre cinesi sul Continente nero
In piedi, entra la Corte
L'altro Congo

Un fallimento chiamato Kenya - nuovo

 

Pubblicato su “Galatea” ottobre 2004

Osservatorio africano
In nome di Allah clemente e misericordioso

Se uno dicesse che la priorità nella politica estera, con il conseguente impiego della forza militare, non è la lotta al terrorismo ma quella alle cavallette, verrebbe preso per matto, in questi tempi di odio e paura. Eppure, nell’agenda diplomatica di Senegal, Mauritania, Niger e Mali, la cosa più urgente è contrastare l’invasione dei famelici insetti, per cui si prevede la creazione di basi militari congiunte e l’impiego massiccio dei rispettivi eserciti. Il fatto è ancora più significativo se si considera che stiamo parlando di paesi quasi integralmente musulmani, fra i più poveri al mondo. Messi insieme, Mauritania, Senegal, Niger e Mali, assommano circa 35 milioni di persone, in larga maggioranza giovani, spesso costretti ad emigrare altrove per trovare una vita migliore. In altre parole, un enorme serbatoio potenziale di manovalanza per il terrorismo islamico (o “islamista” secondo la più corretta definizione dello specialista Gilles Kepel), considerando anche la vicinanza geografica dell’Algeria, la prima vera culla del mostro fondamentalista (quando gli assassini del Gruppo islamico armato sgozzavano i primi stranieri, Osama Bin Laden era ancora in affari con la famiglia Bush, la CIA finanziava i Talebani , e la Cecenia era solo una remota regione del Caucaso che aspirava all’indipendenza). E invece niente. La normalità non fa notizia. Qualcuno dovrebbe spiegare ai senegalesi e ai maliani che l’Islam è incompatibile con la democrazia, visto che loro la vivono da almeno 13 anni, senza aspettare che qualcuno la esportasse da quelle parti, magari con qualche bombardamento (il Niger è pure sulla buona strada, la Mauritania molto meno). Gli studenti che nel 1991 occuparono le università di Bamako, capitale del Mali, e riuscirono, pagando un tributo di sangue, a cacciare il dittatore Moussa Traoré, non erano andati a scuola dai neocons (i nuovi conservatori, i più ipocriti alfieri della democrazia mai apparsi sul pianeta) di Washington. Volevano libertà di espressione, diritti politici e migliori condizioni di vita. Chissà se fanno parte o meno del fantomatico Occidente. Nei bar del Mali, a Moptì come a Timbuctù, è assai difficile trovare alcolici. Ma Coca Cola e Marlboro si vendono anche negli sperduti villaggi Dogon , in uno dei luoghi più affascinanti del mondo. In Senegal, a Dakar, c’è una produzione musicale esuberante, sembra che pure il rock, la musica del diavolo, sia compatibile con le moschee e i muezzin. Per non parlare del calcio, questo sport così anglosassone giocato con passione da tutti i seguaci di Maometto. Difficile immaginare qualcuno di loro, per quanto istruito in una scuola coranica, che esulta per l’attentato delle Torri gemelle invece che per un gol di Diop o Fadiga.
Piccoli esempi per dire una cosa sola: bisognerebbe provare qualche volta, a spostare l’ottica con cui si guarda il mondo. Gli psicologi la chiamano “ridefinizione del campo cognitivo”, che a volte permette di trovare la soluzione a problemi apparentemente insolubili. Più semplicemente, forse bisognerebbe guardare il mondo non dalla prospettiva dei primi (gli Stati Uniti d’America), ma da quello degli ultimi (gli africani). Come vede la guerra in Iraq il cittadino medio dello Zambia? Che cosa pensa dello “scontro di civiltà” uno studente del Camerun? Come risponde alla drammatica domanda “come dobbiamo comportarci con gli islamici in Europa” chi ci convive da sempre nella povertà africana ? Sicuramente avremmo l’opportunità di sentire cose un po’ più originali dell’insopportabile litania che ci viene propinata a dosi industriali dai nostri mass media, dai nostri politici, giornalisti e intellettuali vari che ormai parlano solo per slogan, analizzano la complessità del mondo riducendola ad una filastrocca: “o con Bush o con i terroristi”, “né con Bush, né con i terroristi”, “spero non si dica più né con Bush, né con i terroristi”, “meglio gli americani degli sgozzatori”, “Saddam è come Hitler”, “Bush è come Hitler”, “Bin Laden è come Hitler”, e via delirando.
Una volta si diceva: braccia rubate all’agricoltura. Ecco, forse si dovrebbe ripartire da lì, dal contatto con la terra che l’Africa rende necessario ai più. Dal buon senso e dalla pazienza infinita dei contadini africani, che ancora non hanno provato l’ebbrezza demente delle società post-industriali. “Un nemico razionale come il comunismo stimolava risposte razionali. Un nemico folle come il terrorismo emenda la nostra follia”, ha scritto di recente Curzio Maltese. Bugie e sciocchezze non si contano più, proprio come le meschinità della peggiore classe dirigente che il mondo si ritrova da mezzo secolo a questa parte.
Quando una (ex) grande giornalista come Oriana Fallaci, si sente in dovere di scrivere alla “Gazzetta dello sport” per difendere lo sputo di Totti al giocatore della Danimarca, e farci sapere che lei al suo posto gli avrebbe tirato un calcio nelle parti basse, si capisce meglio che i suoi libri su terrorismo e questione islamica, purtroppo i più venduti in Italia, sono una penosa accozzaglia di razzismi da Bar Sport e deliri egocentrici. Il fatto che quasi nessun presunto intellettuale lo dica, dimostra una volta di più quanto è basso il livello di quelli che dovrebbero difendere la “nostra civiltà”. Razzismo da Bar Sport e delirio egocentrico: il mondo finisce sulla porta di casa, al massimo arriva fino al box dell’auto. Tutti ad aspettare le elezioni presidenziali americane come fossero il giudizio di Dio, affidato a gente che non sa nemmeno com’è fatto il mondo che loro dovrebbero guidare, tanto che Tahar Ben Jalloun propone, come provocazione, che a votare siano tutti gli abitanti del pianeta. Il punto di vista dei primi e il punto di vista degli ultimi.
In Africa le nostre angosce non hanno senso, nel bene e nel male. Nel male, perché c’è già stata e c’è ancora tanta di quella violenza che gli africani non devono certo aspettare i terroristi più o meno islamici per vedere in faccia l’orrore (magari quello tutto cattolico del genocidio ruandese). Nel bene perché nella stragrande maggioranza dei paesi a sud del Sahara la convivenza fra persone di religioni diverse, in primis cristiani e musulmani è un dato di fatto, in tutte le sue proporzioni (maggioranza, minoranza e fifty-fifty). I conflitti di religione sono un’eccezione, e quasi sempre nascondono la loro vera essenza, che è la lotta per il potere (in Nigeria come in Sudan).
Ci vuole un religioso come monsignor Vincenzo Paglia, per ricordare come il problema non è l’eccesso, ma la mancanza di religiosità, anche e soprattutto di quella laica, per esempio su un tema fondamentale come l’uguaglianza: “Oggi la disuguaglianza più grande che io colgo, lavorando e conoscendo da vicino alcuni paesi dell’Africa, più ancora del Medio Oriente, è quella relativa al valore della vita. Una vita in Africa vale molto meno di una vita da noi”.
La nostra percezione, appiattita su quella americana, è quella dell’Impero romano assediato dai barbari. Per i falchi della destra americana, loro sono i legionari duri e puri, come quelli del gladiatore Russel Crowe (il film riassume buona parte della politica estera americana). L’Europa, molle e decadente, è invece pronta a crollare sotto la spinta del nemico. La cosa tragicamente divertente è che questa visione è praticamente identica a quella dei vari Bin Laden e Al Zarqawi, pronti a distruggere la scandalosa Babilonia, sentina del vizio e della corruzione, per sostituirla con il Regno della virtù guerriera della nuova Sparta (in effetti il fondamentalismo islamico ha una puzza antica di fascismo).
In mezzo a queste paranoie, ci sono alcuni miliardi di persone che aspettano soprattutto di capire se arriverà la pioggia, se finalmente aumenterà il prezzo del cacao (e quello del caffè, del cotone, delle banane, del riso e così via), se riusciranno a pagare la scuola ai figli e le medicine ai genitori. Una piccola minoranza di questi, deciderà con un coraggio che confina con la disperazione di provare ad emigrare. Per tutti gli altri, la vita continua, difficile come sempre. Il terrorismo è un lusso che pochi si possono permettere.

Cesare Sangalli